Mondi 1/2018

Mondi 1/2018
Editoriale
di Fabrizio Sciacca

Un grande studioso di mitologia, Karoly Kerényi, ha sostenuto che il racconto mitologico non solo rimanda a un fatto ancestrale, ma anche a qualcosa di universale.
Ernst Cassirer ha definito l’uomo un animale simbolico. Il mito è una creazione dell’uomo. Non è metafisica degli essenti, ma una teoria archetipica. In tal senso, il mito sta dentro la storia dell’uomo. È un dispositivo rivelatore della storia dei popoli. Ha una funzione infrastorica in grado di contenere gli archetipi di tutte le culture e di tutti i tempi.
Dunque, attraverso il mito si fonda la storia, non la si mette da parte. Si potrebbe però dire che senza l’impatto logocentrico del pensiero occidentale non sarebbe venuta fuori questa coscienza storica di derivazione da un mito fondativo. I miti religiosi, ad esempio, sono un tentativo di ripristinare la storia culturale e le tradizioni dei popoli.
La funzione documentale del mito è propria della storiografia, poiché attinge ai contenuti narrativi dei miti nella Kulturgeschichte.
La funzione archetipica del mito è invece propria della simbolica, che a vari livelli si esprime dalla filosofia alla psicoanalisi, dall’antropologia alla teoria dei processi culturali e religiosi, dalla tradizione sapienziale all’esoterismo.
Mondi è un laboratorio di ricerca simbolica, aperto alle scienze filosofiche e sociali, sull’uomo e la società. Il suo scopo è realizzare un’offerta di studi in grado di operare alla luce di un’assunzione sincretica delle funzioni del mito. Si ispira a una complexio plurale e talora oppositiva, ma non divisiva, del multiforme ventaglio fenomenico dell’uomo.
Come nell’immagine di Friedrich Nietzsche, l’uomo è sempre in viaggio nell’orizzonte dell’infinito.
Occorre che si eserciti la memoria di un’origine, di una terra – di quella terra da cui si deve muovere e i cui ponti si devono attraversare. Tagliando i ponti insieme alla terra tagliata dietro di noi, non ci sono più porte da cui uscire né finestre da cui guardare. Si spalanca l’immenso orizzonte. E spaventa, perché recide la certezza della nostalgia e dispiega l’infinito del dubbio. Non esiste più alcuna terra, non esiste più un solo mondo. E forse neppure il mondo stesso. Le acque di chi ha tagliato mondo, ponti e terra sono oscure. Sinché avrà un infinito orizzonte davanti, tuttavia, il navigante che ha tagliato il proprio mondo sarà libero di immaginarne altri mille.
Se il viaggio è la metafora della conoscenza, per viaggiare bisogna sapere da dove partire. Noi partiamo da qui.

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